Categoria: VEDERE
MENOCCHIO

Nel 1600, l’anno in cui fu bruciato a Campo de’ fiori, a Roma, Giordano Bruno, a Pordenone fu eretto un rogo per giustiziare su ordine insistito del Sant’Uffizio, Domenico Scandella detto Menocchio, un mugnaio friuliano. Si era in piena Controriforma.
Mentre il rogo di Giordano Bruno è ben noto a studenti e popolo almeno da quando la scuola post-unitaria ha diffuso la storia d’Italia risorgimentale, dobbiamo la conoscenza di Menocchio a Carlo Ginzburg che nel 1976 pubblicò da Einaudi Il formaggio e i vermi. Il cosmo di un mugnaio del ‘500. Ginzburg indagò su quello strato sociale di mezzo, tra contadini servi analfabeti, da una parte, e nobiltà e clero possidente e conservatore, dall’altra.
Alberto Fasulo, regista, co-sceneggiatore e autore della fotografia, realizza Menocchio, uscito in sala a novembre 2018, dopo aver ben figurato al Festival di Locarno dello stesso anno, ci catapulta nel mondo della Controriforma, della reazione cattolica allo scisma luterano che stava separando l’Europa continentale da quella mediterranea. La Chiesa romana, il potere papale, si sente fortemente contestato, indebolito, quasi sull’orlo del baratro, della propria fine. Non può esserci pietà. La misericordia è bandita.
Diciotto anni dopo il rogo di Menocchio, esploderà nel cuore d’Europa una guerra che la devasterà per trent’anni. In Italia le guerre avevano già imperversato fin dall’inizio del ‘500.
Fasulo ci fa respirare l’atmosfera di quei tempi. Con ritmi lenti e una fotografia meravigliosa, con qualche piano-sequenza virtuosistico, con l’asciuttezza della recitazione dell’intero cast e soprattutto di Marcello Martin, un Menocchio allo stesso tempo vero e immaginato. La sua figura diventa drammatica man mano che si caratterizza e si precisa il contesto. Basti ricordare il volto del parroco del villaggio accusato dalle gerarchie ecclesiastiche di non essersi accorto delle eresie del suo parrocchiano mugnaio e di non averlo denunciato. I volti, gli sguardi e le parole degli inquisitori. Le prigioni buie, sempre buie. La tortura sempre minacciata e alfine praticata. E la faccia di Menocchio. Una testa dura, una bella faccia. Soprattutto una faccia che pensa con la sua testa. E questo non è possibile. Non in tempi bui. Bui come quelli del ‘500 italiano della reazione alla Riforma e alla diffusione della stampa. Fasulo vuole dirci anche questo.
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