Categoria: LEGGERE
ANNA FOA, IL SUICIDIO DI ISRAELE, LATERZA, 2024

Anna Foa, Il suicidio di Israele, 2024  

“Hamas non può essere distrutta politicamente senza una diversa politica di Israele nei confronti dei palestinesi, senza l’avvio della fondazione di uno Stato palestinese, senza un accordo politico con una parte dei paesi arabi. Ma tutto questo non potrà mai essere fatto dal governo Netanyahu.” (pag. 90)

È la conclusione amara del libro di Anna Foa.  Che inizia con l’orribile attacco terroristico di Hamas il 7 ottobre 2023 al territorio israeliano confinante con la Striscia di Gaza: 1145 morti, di cui 800 civili, 251 ostaggi. La terribile reazione di Israele provoca più di 40.000 morti, in gran parte civili, e riduce Gaza a un cumulo di macerie. Una situazione che favorisce “i due grandi oppositori della pace e della nascita di uno Stato palestinese, Hamas e il governo israeliano. Nemici ma concordi su una cosa sola, sabotare la soluzione dei due Stati, distruggendone la possibilità stessa nel futuro.” (pag. 8) 

La storia

Per cercare di comprendere quello che sta succedendo in Palestina dal 2023, bisogna rifarsi alla storia, o meglio, alle storie. Ai capitoli della nascita dello Stato di Israele. Anna Foa riassume in poco più di una trentina di pagine la storia del sionismo. Anzi, sarebbe più corretto parlare di sionismi, al plurale. Nel 1862 il libro di Moses Hess, Roma e Gerusalemme, provoca una “vera e propria rivoluzione”, uno stacco netto con la tradizione, “una rottura all’interno del mondo ebraico, una ridefinizione della sua identità. E non solo per la proposta del «ritorno» in quella che allora era ancora una terra sotto il dominio ottomano, per poi divenire Palestina sotto protettorato inglese…” (pag. 14). Si tratta di una rottura netta con la diaspora, con quegli ebrei che da oltre duemila anni vivono in paesi non di religione ebraica. Si propone come la creazione di un ebreo nuovo, che cancella i secoli della diaspora, per formare un nuovo Stato in cui vivere.  Il sionismo che conosciamo di più, invece, è quello propugnato dal movimento fondato nel 1897 da Theodor Herzl che l’anno precedente aveva pubblicato il libro Lo stato ebraico. Movimento che ispirò nel 1917, durante la prima guerra mondiale, la dichiarazione del ministro degli esteri britannico A.J. Balfour, che si impegnò formalmente a sostenere la costituzione di un «focolare nazionale» per il popolo ebraico in Palestina. Ma fu la Conferenza di Parigi al termine della guerra, che determinò la rottura tra sionisti e mondo arabo. L’emiro Faysal, che aveva accettato la dichiarazione Balfour, non ebbe la Siria, come promesso dalla Gran Bretagna. Il nazionalismo arabo si concentrò sulla Palestina; il Gran Muftì di Gerusalemme, capo spirituale della Comunità musulmana della Palestina, tentò di costruire l’embrione di uno Stato islamico fondamentalista, alleandosi con Hitler durante la seconda guerra mondiale. E proprio l’avvento del nazismo diede una grande spinta all’emigrazione di ebrei dalla Germania e dalla Polonia verso la Palestina, dove i movimenti sionisti mostravano un grande attivismo. La sconfitta italo-tedesca a El Alamein salvò gli insediamenti ebraici in Palestina. Gli ebrei della diaspora aiutarono attivamente chi voleva andare in Palestina; ci fu anche una partecipazione militare nella guerra contro il nazismo. Anna Foa ricorda la costituzione della Brigata Palestinese detta anche Brigata Ebraica, composta da ebrei della Palestina, protettorato inglese, arruolati tra le truppe britanniche. Alla fine della guerra, nel 1945-46 aumentò la presenza ebraica in Palestina tanto che con la fine del protettorato inglese, il 29 novembre 1947 l’Assemblea Generale dell’ONU sancì la nascita in Palestina di due Stati, uno ebraico e uno palestinese. Votarono a favore sia gli USA che l’URSS. Il 14 maggio 1948 nacque lo Stato di Israele. Il giorno dopo iniziò la guerra con la Lega degli stati arabi. Quali le motivazioni reali della guerra? “La storiografia più recente ha sottolineato sia la necessità degli Stati arabi di placare le rispettive opinioni pubbliche sia la concorrenza fra loro dei vari Stati, timorosi che uno di loro ottenesse parti della Palestina, più che una vera e propria volontà di sbarazzarsi di Israele” (pag. 31). La guerra del 1948 cambiò drasticamente la vita di quasi un milione di palestinesi cacciati dalle loro case e dalle loro terre: fu la Nakba (Catastrofe).

Gli anni successivi videro l’ascesa di Nasser in Egitto e la guerra del 1956 per la nazionalizzazione del canale di Suez, e la rottura da parte dell’Unione Sovietica dei rapporti con Israele, da allora in poi considerato “il braccio armato dell’imperialismo occidentale” (pag. 39). La tensione tra israeliani e arabi aumentò anno dopo anno. Nel 1967 la “guerra dei Sei giorni cambiò radicalmente la situazione” (pag. 40). Israele conquistò le alture del Golan, la West Bank, Gerusalemme e Gaza. Iniziò un sionismo aggressivo: “si diffondeva un diverso tipo di israeliano, un sionista religioso aggressivo e ispirato da Dio a colonizzare tutta la terra di Israele.” (pag. 42) Iniziava il fenomeno degli insediamenti dei coloni, dei gruppi estremisti nella West Bank, che loro chiamano con i nomi biblici di Giudea e Samaria. Nacque la resistenza palestinese; non più guerre dei paesi arabi ma organizzazioni di guerriglia, come l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) che adottò anche una tattica terroristica con attentati in Israele e altrove come alle Olimpiadi di Monaco del 1972. Da allora ci sono stati continui tentativi di trattare la pace. Tutti falliti.

Identità

“La nascita dello Stato trasforma in profondità le identità degli ebrei tanto nella diaspora quanto in Israele. Oggi gli ebrei sono assimilati tout court agli israeliani, ai sionisti e la guerra di Gaza alimenta ovunque l’antisemitismo” (pag. 47)

Dal 1950 una legge consentiva ad ogni ebreo di ottenere la cittadinanza israeliana. Così veniva sancita l’unione tra israeliani e gli ebrei della diaspora. Ma la vera ricomposizione tra Israele e la diaspora avvenne nel 1961 con il processo ad Adolf Eichmann. Non si processò solo la persona Eichmann. Fu un vero e proprio “processo alla Shoah. (…) Con questo processo Israele si poneva come l’erede dei sei milioni di ebrei assassinati nella Shoah e si assumeva il ruolo di mantenerne la memoria. Il passaggio dai ghetti alla Terra d’Israele era compiuto, quasi la fine della diaspora fosse stata il segno della rinascita ebraica nella terra dei padri” (pag. 51). Cambiava di fatto non solo l’identità degli israeliani ma anche degli ebrei della diaspora, vittime anche dagli attentati alla Sinagoga di Roma nel 1982, a Parigi, a Buenos Aires e in altri luoghi. Un cambiamento importante dell’identità israeliana avvenne negli anni Novanta con la dissoluzione dell’URSS: oltre un milione di immigrati affluirono in Israele. E inoltre non va mai dimenticata la potenza del ruolo della religione nella costruzione dell’identità israeliana.

Infine, va ricordato che in tutti questi anni è cambiata anche l’identità palestinese, tra guerre, esili, profughi. Questi ultimi oggi sono circa cinque milioni, nel 1948 non arrivavano al milione. E si sentono vittime della Nakba. “La memoria della Nakba, come quella della Shoah per gli ebrei, alimenta così identità contrapposte. Lo sarà per sempre o esiste una possibilità di dialogo anche per identità e memorie? Ma è possibile conciliare la memoria con la giustizia nel momento in cui una delle due vittime è anche vittima dell’altra, come nel caso dei palestinesi?” (pag. 60).

 

Il suicidio di Israele

Vari tentativi di fare la pace tra israeliani e palestinesi si sono succeduti negli anni. Il più significativo è stato quello che portò agli accordi di Oslo nel 1993 tra il primo ministro israeliano Rabin e il leader dell’OLP Yasser Arafat: fu sancita la nascita dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) come primo embrione del futuro Stato di Palestina. Due anni dopo un fanatico della destra israeliana uccise Rabin in un attentato, provocando il fallimento di ogni trattativa di pace. Nel 2006 Hamas vinse le elezioni a Gaza e, dopo una guerra civile contro l’OLP, instaurò un governo fortemente islamizzato.

Dopo l’uccisione di Rabin si sono succeduti in Israele soprattutto governi di destra che hanno dato spazio a movimenti di fanatici estremisti che propugnano la Grande Israele. L’attuale governo di Benjamin Bibi Netanyahu è sostenuto da due partiti estremisti fanatici, e si comporta di conseguenza.

“Quello che succede oggi in Medio Oriente è per Israele un vero e proprio suicidio. Un suicidio guidato dal suo governo, contro cui – è vero – molti israeliani lottano con tutte le loro forze, senza tuttavia riuscire a fermarlo. E senza nessun aiuto, o quasi, da parte degli ebrei della diaspora.

(…)

Un governo appena decente avrebbe dovuto, di fronte all’eccidio del 7 ottobre, preoccuparsi in primo luogo degli ostaggi. Avrebbe dovuto, nella sua politica verso i palestinesi, distinguere i terroristi di Hamas dai palestinesi dell’ANP, e attuare immediatamente una politica nei confronti di questi ultimi, volta ad isolare Hamas, non a farne crescere la reputazione come baluardo della resistenza. Questa non è stata la politica di questo governo. E come avrebbe potuto, se l’unico suo obiettivo è sbarazzarsi dei palestinesi e creare la grande Israele, voluta da Dio?” (pagg. 77 e 79).