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GIANFRANCO MARRONE, LA FATICA DI ESSERE PIGRI

Gianfranco Marrone, La fatica di essere pigri, Raffaello Cortina Editore. 

G. Marrone docente di semiotica all'Università di Palermo, studia i linguaggi e altro. in questo libro affronta la storia della pigrizia e quindi del lavoro e dell'ozio. La parte interessante sta nel primo capitolo, titolato L'ozio dei popoli, dove si fa la storia dell'opposizione tra ozio e lavoro. Cita Bertrand Russel che in un breve saggio del 1932 contesta l'etica protestante dell'ozio padre di tutti i vizi: "l'ozio è essenziale per la civiltà; esso non implica né frivolezze né débauche." E aggiunge: "L'ozio non è il padre di tutti i vizi ma atteggiamento foriero di cultura, esercizio intellettuale, capacità critica, felicità e benessere, miglioramento generale delle condizioni di esistenza dell'umanità. Esso non implica mancanza di operosità ma diminuzione del lavoro cosiddetto utile, di tutte quelle attività che servono a qualcos'altro, ovvero sempre, alla fin fine a produrre denaro. L'ozio, per Russel, non è affatto superfluo, e non è nemmeno ozioso, poiché lavora a pieno ritmo per l'affermazione di altre forme di necessità: esse sì realmente etiche e, a conti fatti, ambasciatrici di joie de vivre." (p. 20) E più avanti utilizza Marx: "il problema per Marx non è, alla Russell, diminuire le ore di lavoro per aumentare il tempo libero, ma far saltare l'opposizione lavoro/riposo, fatica/svago, eliminando l'alienazione e instaurando la possibilità che l'uomo possa affermarsi come essere sociale libero e sicuro di sé grazie alla propria attività lavorativa." (p. 32). Da notare che Paul Lafargue, l'autore del celebre pamphlet Il diritto alla pigrizia, era il genero di Marx, avendone sposato la figlia Laura! Lui chiedeva di lottare per lavorare meno poiché "la pigrizia è madre delle arti e delle nobili virtù". 

Nell'opposizione marxiana tra lavoro e tempo libero, ha vinto il primo: tutto è diventato lavoro! anche il "tempo libero"!

Oggi, "la società dei consumi è un mondo in cui l'identità individuale e collettiva non viene basata più, come ai tempi dell'economia classica e delle sue critiche, sull'apparto di produzione, sulle gerarchie che l'organizzazione del lavoro impone ai soggetti sociali, su ciò che ciascuno fa o non fa: l'essere capitalista, operaio, contadino, lavoratore del terziario, artigiano e simili. Il reddito come indicatore sociale, da questo punto di vista, diviene sempre meno importante. Quel che nella società dei consumi produce identità, per quanto debole e cangiante, è l'atto del consumo, le scelte di acquisto (...) anche e soprattutto sulla base di quei sistemi di gusto, di valori e di significati che sono i brand.

(...)

E questa mia identità è tanto più forte quanto, da un lato, si differenzia da quella di chi fa altri tipi di scelta e dall'altro, combacia con quella di chi scelte analoghe alle mie. (...) Così anche il loisir, il divertimento, ovvero quella che Lafargue chiamava la bisboccia, viene pensato e strutturato nella dimensione ipertecnica del consumo." (pp. 37-38)

"...ogni società e ogni cultura definiscono al loro interno, articolandole fra loro, le sfere del lavoro e dell'ozio, della produzione e del tempo libero, provocando come effetto non secondario di tale strutturazione anche la sfera della pigrizia." (p.45) L'uomo primitivo aveva molto tempo che dedicava ad altre attività che non fossero quelle necessarie e procurarsi il cibo. Non per questo era "pigro", nel senso di "qualcuno che rifiuta il lavoro che addirittura si oppone ad esso e chi glielo impone. Semplicemente non aveva più bisogni del necessario. E 'la categoria di pigrizia che occorre volta per volta ridefinire, riconfigurare in relazione alle altre, donandole senso e valore" (p.45). Il capitolo si chiude con lo sforzo di Marrone di scrivere un'antropologia della pigrizia. Interessante.

Il libro potrebbe finire qui. Gli altri tre capitoli sono dedicati a: 1. Lingue, detti, storie; 2. Politiche dell'oblomovismo; 3. Mitologie di Paperino.  Ha destato il mio interesse e la mia curiosità solo l'ultimo. Il primo vale la pena di essere letto. Si impara qualcosa. Nel finale si ricorre a Barthes  e Proust per nobilitare la pigrizia ...