Categoria: LEGGERE
Elisabeth Åsbrink, 1947, Iperborea 2018, pp.314, € 18,00

Non è vero.
Non è vero quello che scrive l’editore nella controcopertina: “c’è solo quest’anno, il 1947, in cui tutto si muove … ogni possibilità è ancora aperta”. Non è vero perché tutti gli anni, a pensarci bene, sono così. Sono stati così. Si pensi al 1948 in Italia: le elezioni politiche, la scelta tra comunisti e democristiani. E l’anno prima: tra monarchia e repubblica. Ogni possibilità era aperta. Invece, il libro della Åsbrink è un libro riuscito, bello, che si legge con piacere e con interesse. Spiega gli avvenimenti come un testo storiografico e avvince il lettore come un romanzo. Ma non è né un romanzo e né un libro di storia. E’ un reportage. La Åsbrink è una grande scrittrice e giornalista svedese, come si ricorda nel risvolto di copertina, e si vede.
E’ il 1947. Siamo appena usciti dalla Seconda Guerra Mondiale. Cinquanta milioni di morti, dolore, lutto, ferite e sofferenze immense e profonde che colpiscono l’umanità tutta nello spazio e nel tempo. Åsbrink cerca di raccontare mese per mese, da gennaio a dicembre di quell’anno, lo sforzo dell’umanità di riparare il dolore, di elaborare i lutti, di immaginare futuri possibili. E’ dura. E’ durissima. Al punto che nell’ultima pagina della narrazione lei getta la spugna: “Il tempo è asimmetrico. Passa dall’ordine al disordine ed è impossibile che torni indietro… Forse non è l’anno che voglio ricomporre. La ricomposizione riguarda me stessa. Non è il tempo a dover essere tenuto insieme, sono io, io e il dolore frantumato che provo e che aumenta sempre più. Il dolore per la violenza, la vergogna per la violenza, il dolore per la vergogna.”
Infatti, se si selezionano e si leggono gli avvenimenti del 1947 con la sagacia e l’intelligenza dell’autrice si capisce molto del mondo in cui viviamo.
E la Åsbrink ce lo fa notare. Ogni volta.