Categoria: LEGGERE
FRANCESCA MELANDRI, SANGUE GIUSTO
Francesca Melandri, Sangue giusto, Rizzoli 2017, pp. 521

Ormai è sicuro. Noi, italiani, non siamo stati "brava gente". Siamo stati come gli altri. Quando "avevamo le colonie".
Dopo i libri di storia anche i romanzi cominciano ad occuparsi di cosa succedeva, per esempio, in Etiopia dopo la conquista; dopo il "ritorno dell'impero sui colli fatali di Roma" come urlò nel 1936 il Duce trionfante agli italiani.
Nell'agosto del 2010 a Roma, a Ilaria che sta rientrando a casa una coinquilina le dice: "c'è un negro che ti sta aspettando"....
Ilaria è un'insegnante, un'insegnante di sinistra che ha una storia complicata con un rampante deputato di destra; ma non è questo che importa all'autrice. La cosa interessante è proprio il "negro" che si trova davanti alla porta della casa di Ilaria quel giorno di agosto. Quel ragazzo è venuto da Addis Abeba per comunicarle che è nientemeno che suo fratello! Ma lei ha già due fratelli! Lui che c'entra? Chi è? Chi è davvero?
Comincia così la storia. La storia di suo padre, Attilio Profeti. O meglio, una storia di suo padre. Una storia che lei e i suoi fratelli (e sua madre) mai avevano saputo. Suo padre morirà due anni dopo. In quei due anni lei cercherà di scoprire - e lo scoprirà - la vita che facevano gli italiani nell'Etiopia colonizzata.
Francesca Melandri ce la fa conoscere così, come la scoperta da parte di un'intellettuale di sinistra del colonialismo italiano. Dei normali comportamenti degli italiani brava gente, nel senso di normali, brave persone. Che, tra l'altro, intrecciavano amori facili e, tutto sommato, comodi e poco impegnativi.
Bel romanzo. Anche se un po' troppo "intrecciato" per i miei gusti. Vero è che l'autrice vuole costringerci a leggere il passato con gli occhi del presente, ma sotto sotto vuole dirci di fare attenzione, ché non è corretto né utile giudicare chi non si conosce veramente. Ilaria, la professoressa, "cerca sempre di ricordare almeno a se stessa che quelle giovani persone che ogni mattina la fissano in classe sono inconoscibili. E che il suo mestiere di educatrice non consiste nel definirli, bensì nell'entrarci in relazione"(pag.226).